glowaczweb
Tra sport e avventura
Anni fa si parlava di free climbing come nuova disciplina nata dall’alpinismo ma progressivamente assunta a un ruolo proprio. Sembrava fosse nata negli Stati Uniti, ma le fonti erano confuse e, soprattutto se praticato in montagna, non era chiaro che filosofia celasse. Oggi si sente sempre più spesso parlare di arrampicata sportiva, e sempre meno di free climbing. Eppure la distinzione c’è, e forte malgrado a volte il terreno di gioco sia lo stesso. Il free climbing, o arrampicata libera, è la filosofia del salire una parete senza utilizzare alcun mezzo artificiale per la progressione, ma non rinuncia all’esistenza del rischio e dell’avventura, due concetti da sempre propri dell’Alpinismo. L’arrampicata sportiva invece elimina il rischio dalla sua interpretazione, centrando ogni attenzione sulla prestazione.
preussweb Il periodo pionieristico
Quasi un secolo fa Paul Preuss teorizzò l’arrampicata libera nella sua forma più pura, addirittura sostenendo che si dovesse salire solo dove si sarebbe stati capaci di scendere. Preuss era un integralista tutto d’un pezzo, anche sostenitore dell’arrampicata senza corda, e la sua morte fu commentata con una certa ironia dalla maggior parte dei contemporanei, convinti che raggiungere una cima fosse più importante dello stile con cui vi si sale. E le sue innovative idee, condivise solo da alcuni fuoriclasse come Mummery, si dispersero purtroppo nella corsa alla vetta che divenne motivo dominante dell’Alpinismo di metà 900.
 
gillweb

La nuova visione
Negli USA la storia dell’arrampicata libera seguì invece un percorso diverso, complice anche la morfologia della roccia granitica le cui caratteristiche consentivano una progressione senz’altro più agevole del calcare. Maestro e precursore di questa disciplina fu l’americano John Gill, che sin dagli anni 50 introdusse l’uso della magnesite, la tecnica dei lanci e per primo si cimentò nel bouldering, come Pierre Allain in Francia. Quasi contemporaneamente a Gill anche altri scalatori tra cui Royal Robbins cominciarono a intravedere nella Yosemite valley qualcosa di più di un semplice paesaggio e sulle stupende fessure del Capitan superarono quello che sulle Alpi veniva confusamente indicato come sesto grado.

kaukweb I primi passi
In Europa i più progrediti nella concezione del free climbing erano gli Inglesi, anche perchè le loro ridotte falesie li costringevano, per divertirsi, a spingere in alto la difficoltà degli itinerari. Ma anche in Germania e Italia isolati pionieri come Soldà e Vinatzer, che ambivano allo stile quanto al coronamento dell’ascensione, riconoscevano che salire le montagne in libera era ben diverso che affidarsi ai chiodi per la progressione. Le prime grandi imprese di Free climbing avvennero comunque in America sul finire degli anni 60, per opera di fuoriclasse come John Bachar, Tony Yaniro e Ron Kauk. Questi giovani americani, che si allenavano duramente e vivevano ai margini della società, praticamente da hippy, colpirono profondamente i primi scalatori europei che viaggiarono oltreoceano. 
 
mottiweb Si fissano le regole
Quando le notizie dei loro exploit arrivarono in Europa la reazione di alcuni alpinisti di stampo classico fu spesso di incredulità mentre altri, sulla scia di questa nuova visione, cominciarono a esplorare con uno spirito diverso tutte le strutture rocciose presenti nelle vallate alpine. In Italia particolare rilievo per lo sviluppo del pensiero free ebbe la nascita del Nuovo Mattino, movimento d’avanguardia capeggiato da Giampiero Motti. Dal canto suo Reinhold Messner, precursore come sempre e grande studioso dell’età pionieristica, indicò nel rivoluzionario "settimo grado", un testo che fece epoca, quelli che secondo lui dovevano essere i dettami dell’alpinismo su roccia: non usare le protezione per progredire, e quindi salire in libera, possibilmente con meno chiodi possibile. 
gullichweb L'innalzamento delle difficoltà
In quegli anni era ancora l’America il punto di riferimento delle maggiori realizzazioni e per dare un’idea di quanto fossero avanti gli scalatori d’oltreoceano basta ricordare che al suo primo viaggio un giovane Wolfgang Gullich, ansioso di misurarsi sulle massime difficoltà degli States, ricevette una sonora sconfitta e gli ci vollero 10 mesi di allenamento specifico aver ragione degli itinerari che lo avevano respinto. Il dado però era tratto, l’arrivo di Gullich nel free climbing rappresentò una svolta epocale. Meno talentuoso di altri contemporanei come Patrick Edlinger ma fortissimo fisicamente, Gullich si applicò all’arrampicata con la classica tenacia teutonica e in breve portò il free climbing verso mete impensabili ad inizio anni 80. 
Hillweb L'affermazione dell'arrampicata
Intanto, mentre in falesia veniva infranto il fatidico muro dell’8a, sulle Alpi si muovevano bravissimi interpreti in grado di innalzare con le loro realizzazioni il limite delle difficoltà superabili nell’apertura di un itinerario come ad esempio Igor Koller e Jindrich Sustr sulla Marmolada. Nello stesso periodo il fuoriclasse norvegese Hans Cristian Doseth introduceva la filosofia del free climbing in Karakorum, aprendo una via di 1600 metri sulle Torri di Trango. Tappe storiche e fondamentali per la decisiva affermazione del free climbing, a cui, ufficialmente con l’avvento dell’agonismo e poi con le falesie attrezzate dall’alto, si affiancherà l’arrampicata sportiva. Nel 1985, con le prime gare sportive a Bardonecchia e Arco di Trento, gli arrampicatori si trovano infatti per la prima volta a gareggiare su percorsi di estrema difficoltà e nascono i primi atleti di questa nuova disciplina sportiva.